Gesù in terra d’Israele

Buongiorno a tutti.

Oggi, ultima domenica di gennaio, secondo il rito ambrosiano, celebriamo la Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, da sempre ritenuta un modello fondamentale della famiglia umana, perché in essa sono espressi i legami di affetto, di amore e di comprensione che ognuno di noi è chiamato a rinnovare.

Il Vangelo ci racconta il ritorno della famiglia di Giuseppe nella terra d’Israele, prima in Giudea e poi in Galilea, nella città di Nazareth. In questo modo si compiva ciò che era stato predetto dai profeti su Gesù NazarenoIl ritorno della famiglia di Giuseppe in terra d’Israele Secondo la sua promessa, Dio avvertì Giuseppe della morte di Erode e di coloro che cercavano di uccidere il bambino.

Era giunto il momento di “chiamare suo figlio fuori dall’Egitto” e di riportarlo nella “terra d’Israele”: la terra promessa, il luogo della sua eredità, affidato al suo popolo eletto.

I re stranieri possono regnarvi uno dopo l’altro, malvagi come sempre, ma gli occhi e il cuore di Dio sono costantemente su questa terra che purificherà e libererà sempre.

Così Giuseppe torna dall’Egitto con il bambino e sua madre (il bambino è sempre menzionato per primo: è di lui e non di sua madre che Dio vuole parlarci). Dio apre la porta perché possa entrare colui che sarà il pastore di Israele (Gv 10, 2, 3).

Giuseppe, che si sottopone alla volontà di Dio senza fare domande, è per noi un bell’esempio di sottomissione alla parola di Dio e di pronta obbedienza. Egli, infatti, pur avendo paura perché in Giudea regnava Archelao, figlio di Erode, si diresse verso questa regione; ma Dio, in un quarto sogno, venne incontro alla sua apprensione, facendo in modo che si volgesse verso la Galilea.

È bello vederlo scendere al livello di quest’uomo timoroso per offrirgli il suo misericordioso sostegno e la sua guida.

Egli mostra la stessa condiscendenza verso di noi e la stessa considerazione per la nostra debolezza.Gesù il Nazareno Il salvifico “dirottamento” della Santa famiglia in Galilea, risponde ad un preciso disegno di Dio.

Egli voleva che fosse così, perché Gesù sarebbe cresciuto a Nazareth, la città dove Giuseppe e Maria avevano vissuto in precedenza. Nostro Signore doveva essere considerato un abitante di quella città; doveva essere chiamato “Nazareno”.

Nessun profeta lo aveva chiamato letteralmente con questo nome, ma tutta la Scrittura parla, in figura o in realtà, della consacrazione a Dio di colui che doveva venire e del disprezzo e dell’oppressione a cui sarebbe stato sottoposto. Il nome Nazareno ha un triplice significato:- Gesù il Nazareno era l’abitante misconosciuto di questa disprezzata città di Nazareth (Gv 1,46); si trovava in Galilea, una regione che i Giudei di Giudea tenevano in scarsa considerazione e dalla quale, dicevano, non poteva venire alcun profeta (Gv 7,52).- Il Nazareno in Israele (Numeri 6) si dedicava a Dio per un tempo specifico, separandosi da ogni impurità.

Nostro Signore fu un nazareno per tutta la sua vita sulla terra; questa posizione è già mostrata nella figura di Giuseppe, il figlio di Giacobbe, che fu separato dai suoi fratelli (Genesi 49:26; Deuteronomio 33:16).- La radice della parola Nazareno (“netser” in ebraico) significa ramo (Isaia 11:1-5). Gesù Cristo, figlio di Davide, è questa propaggine del tronco di Iesse (padre di Davide), ma è il tralcio migliore della vite, il tralcio per eccellenza che produrrà frutti per Dio.Il titolo di Gesù il Nazareno è stato inscritto in modo beffardo sulla croce (Gv 19,19), ma poi è stato rivendicato nella predicazione degli apostoli e da Gesù stesso dall’alto della gloria (At 22,8).Cari fratelli e sorelle, in questo Anno Santo del Giubileo della Speranza e in questo giorno in cui celebriamo la famiglia di Nazareth, preghiamo affinché il nostro cammino di pellegrini della speranza sia un’occasione per aiutare tante famiglie ad essere luoghi di vita, di gioia e di pace.

Vi auguro una buona domenica.

don Jean-Claude Ngoy, sdb