Guarigione

Cari tutti, oggi celebriamo la quinta domenica dopo l’Epifania del Signore. Il brano del Vangelo ci parla della guarigione del servo del centurione da parte di Gesù.

C’è quindi una richiesta e una risposta. Vi propongo due aspetti su cui meditare: la guarigione e l’ingresso nel Regno per fede.

La guarigione del servo del centurione 

Gesù entra di nuovo a Cafarnao. una città “privilegiata” che sarà testimone di molti miracoli, ma che rimarrà indifferente e non si pentirà. È in questo luogo che la salvezza di Dio ha raggiunto le nazioni lontane rappresentate dai Romani (Lc 2,30-32). Gesù è il ramo fecondo che nasce dal tronco di Iesse (padre di Davide), ma i cui rami crescono oltre il muro che separa Israele dalle nazioni (Isaia 11:1; Genesi 49:22).

Uno straniero, un centurione, implora Gesù perché guarisca il suo servo paralizzato.

Egli era un uomo che conosceva Dio di Israele e il suo messaggero, Gesù Cristo e lo identifica come il Signore, colui che esercita l’autorità per conto di Dio ed è rivestito della sua potenza.

E’ anche molto umile, così come deve sempre essere l’uomo di fede davanti a Dio: “Non sono degno…”.

L’amore che il centurione esprime in questa toccante supplica per il suo schiavo gravemente malato e sofferente, ha qualcosa di straordinario, soprattutto in considerazione del fatto che gli schiavi erano generalmente trattati con disprezzo.

– Gesù apprezza la grande fede di quest’uomo: egli era un soldato abituato all’ordine e alla disciplina che, ad ogni livello, erano la forza dell’esercito romano. Lui stesso era perfettamente sottomesso ai suoi superiori. Quando dà un comando ai suoi soldati, sa di avere alle spalle tutta la potenza di Cesare.

Allo stesso modo, era convinto che una sola parola di Gesù (versetto 8) avrebbe mobilitato tutta la potenza di Dio per guarire il suo servo: non era necessario che Gesù lo toccasse, e nemmeno che fosse presente. Che fede magnifica!

In quel momento, il centurione si sentì dire: “Come hai creduto, così sia fatto a te”: la risposta divina era la misura della fede di quest’uomo.

Entrare nel regno per fede 

i versetti 11 e 12 del brano di oggi sono un solenne riassunto del Vangelo di Matteo. I Giudei si riferivano ai patriarchi come alla stirpe degli eredi della promessa. Rivendicavano i diritti acquisiti per discendenza naturale (Giovanni 8:33, 39). Gesù mostra loro, con la grazia che ha appena mostrato al credente romano, che la porta del regno è aperta a tutti.

Se coloro che sono invitati per primi (Israeliani) rifiutano di pentirsi e di andare a sedersi al banchetto reale, i posti saranno tutti occupati da coloro che, venendo da lontano, accettano la grazia di Dio che porta la salvezza (Isaia 49.6, 12; Tito 2.11). I “figli del regno” per nascita naturale, pur essendo privilegiati, non entrano di diritto: devono riconoscere di essere oggetto di misericordia al pari dei gentili (Romani 11:32), altrimenti avranno la loro parte di tormento eterno.

L’uomo religioso vorrebbe non sottoporsi a questo aut aut: la luce del regno o le tenebre eterne, la felicità nella vita eterna o il fuoco eterno.  Ma la Parola di Dio non presenta alternative, nemmeno temporanee. Che i figli di genitori cristiani, privilegiati come i “figli del regno”, accettino di entrare attraverso l’unica porta aperta (Giovanni 3:5)! Che i loro genitori preghino con la fede e il fervore del centurione!

Cari fratelli e sorelle, in questo Anno Santo del Giubileo, preghiamo per diventare uomini e donne capaci di dare agli altri la nostra testimonianza di speranza.

Vi auguro una buona domenica.

Don Jean-Claude Ngoy, sdb.

Fonti: Sondez les écritures